Ricorso FederLab per annullamento Nomenclatore Tariffario Ministeriale. Sentenza TAR Lazio

 

 

Pubblichiamo il testo integrale della sentenza emessa dal TAR Lazio in data 31.01.2008 con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale ha accolto il ricorso presentato da FederLab Italia per l’annullamento del Decreto Ministeriale 12.09.2006 avente ad oggetto: “Ricognizione e primo aggiornamento delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni sanitarie".

 

Nei prossimi giorni FederLab Italia provvederà a notificare la citata sentenza presso le singole Regioni affinché siano dichiarati nulli tutti gli atti amministrativi adottati dalle Regioni medesime concernenti sia l’adozione del Nomenclatore Tariffario Ministeriale sia l’applicazione dello sconto del 20% sulle tariffe di Laboratorio.

 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

N.                  Reg.Sent.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Anno

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

N.  1662        Reg.Ric.

 SEZIONE III quater

Anno  2007

composta dai magistrati:

MARIO DI GIUSEPPE                      Presidente

CARLO TAGLIENTI                          Consigliere relatore

UMBERTO REALFONZO                  Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1662 del 2007 proposto da FederLab Italia - omissis - tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Arturo Umbero Meo, domiciliati in Roma, viale Mazzini n. 142 presso lo studio legale Lemma;

CONTRO

Il MINISTERO DELLA SALUTE ed il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;

e nei confronti di

la REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Tiziana Taglialatela dell’Avvocatura regionale, presso la quale è domiciliata in Roma, via Poli n. 29;

per l’annullamento

del Decreto del Ministro della Salute 12 settembre 2006 recante “Ricognizione e primo aggiornamento delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni sanitarie”

di ogni atto connesso, compresi quelli regionali;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni resistenti;

Viste le memorie prodotte dalle parti;

Visti gli atti tutti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 17 ottobre 2007, con designazione del Cons. Carlo Taglienti relatore della causa, gli avv.ti come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 10 febbraio 2007 e depositato il 23 successivo, la FEDERLAB, unitamente agli altri soggetti in epigrafe indicati, ha impugnato il D.M. Salute 12 settembre 2006 recante “Ricognizione e primo aggiornamento delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni sanitarie”.

Deducono i ricorrenti:

violazione dell’art. 8-sexies, comma 5, del D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502. Violazione dell’art. 1, comma 170, della legge 30 dicembre 2004 n. 311. Violazione dell’art. 41 Cost. Violazione  del “Patto per la salute” del 28 settembre 2006. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e segnatamente: carenza dei presupposti fattuali e giuridici, errore di fatto e travisamento dei fatti, assoluta illogicità ed irrazionalità, contraddittorietà intrinseca ed estrinseca, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, errata valutazione dei presupposti, carenza istruttoria, motivazione perplessa, insufficiente ed incongrua, sotto diversi profili.

In sostanza i ricorrenti lamentano che il decreto impugnato abbia ripristinato le tariffe approvate col D.M. 150/96, senza considerare che esso venne annullato dal Consiglio di Stato per difetto di istruttoria con sentenza della Sezione IV n. 1839 del 29 marzo 2001; assumono che, in ogni caso, l’atto impugnato è affetto dello stesso vizio di difetto di istruttoria e di violazione delle norme che disciplinano l’approvazione delle tariffe; evidenziano la mancata considerazione del parere negativo della Conferenza Stato-Regioni.

Si sono costituite le Amministrazioni statali intimate, depositando un rapporto del Ministero della salute, nel quale si sostiene che il decreto impugnato è atto di prima attuazione dell’art. 1 comma 170 della legge n. 311/2004, la quale prevede espressamente che gli importi tariffari fissati dalle singole regioni, superiori a quelli massimi stabiliti dal Ministero della salute, sono a carico delle regioni stesse; che determina i rapporti economici tra Stato e regioni e s’inserisce nell’ambito delle risorse programmate per il Servizio Sanitario Nazionale; che il D.M. del 1996 venne annullato solo parzialmente; che comunque quello attuale risponde ad una diversa logica, e cioè quella del riparto degli oneri tra Stato e regioni; che il riferimento agli importi numerici del 1996 scaturisce da un accertamento economico finanziario dal quale risulta che in molte regioni quei parametri appaiono tutt’ora congrui; che l’art. 1 comma 796 lett. o) della legge n. 296/2006 opera una riduzione percentuale delle tariffe indicate nel D.M. del 1996.

Con memoria i ricorrenti hanno ribadito tesi e ragioni.

Risulta formalmente costituita in giudizio la Regione Campania.

Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2007 la causa è stata spedita in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe è stato impugnato il decreto del Ministero della Salute con il quale sono state fissate le tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni sanitarie.

In primo luogo non è seriamente dubitabile della lesività dell’atto impugnato, anche se in esso si prevede che le regioni possono fissare tariffe più elevate di quelle a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

A prescindere infatti dalla circostanza di fatto che non risulta che la regione si sia avvalsa di tale facoltà, che comportava comunque la necessità di finanziare col proprio bilancio tali aumenti di tariffe, appare evidente come i parametri tariffari stabiliti dall’Amministrazione statale costituiscano un punto fermo ed un orientamento preciso per le regioni, mentre possibili (solo teoricamente) tariffe massime più elevate costituiscono nella fattispecie una mera eventualità; costituiscono altresì un chiaro condizionamento del comportamento regionale in quanto a tariffe più elevate corrisponderebbe una minore necessità di adottare provvedimenti con onere a carico delle regioni stesse.

Il ricorso nel merito è fondato e deve essere accolto.

I ricorrenti contestano in primo luogo la determinazione contenuta al primo comma lett. a) dell’art. 3 di detto decreto che testualmente recita: “le tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale a carico del Servizio Sanitario Nazionale sono quelle individuate dal decreto del Ministro della sanità del 22 luglio 1996  “Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell’ambito del servizio sanitario nazionale e relative tariffe”.

La censura di difetto d’istruttoria e di motivazione e di violazione dell’art. 8 sexies comma 5 del D.leg. 30 dicembre 1992 n. 502, introdotto dall’art. 8 comma 4 del D.Lgs. 19 giugno 1999 n. 229 e dell’art. 1 comma 170 della legge 30 dicembre 2004 n. 311, appare fondata.

In primo luogo il decreto qui impugnato richiama e rende ora applicabili le tariffe determinate con un decreto ministeriale che risulta annullato in sede giurisdizionale dal Consiglio di Stato con sentenza della sez. IV 29 marzo 2001 n. 1839; a prescindere dalla questione, peraltro poco comprensibile, posta dalla difesa dell’Amministrazione sulla possibilità di far rivivere solo le tariffe e non il decreto in quanto caducato, il Collegio rileva come il principale difetto istruttorio derivi dal fatto che l’atto impugnato non dà minimamente conto di tale questione; che l’abbia ignorata perché non a conoscenza dell’annullamento giurisdizionale, ovvero perché riteneva comunque possibile, nonostante l’annullamento, far rivivere dette tariffe, appare comunque evidente il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento sotto tale profilo.

Peraltro tale circostanza ha condotto l’Amministrazione ad incorrere negli stessi vizi rilevati dal Consiglio di Stato, che, in buona sostanza aveva evidenziato un difetto di istruttoria nella determinazione delle tariffe per mancata applicazione dei precisi criteri dettati dallo stesso Ministero col D.M. 15 aprile 1994, all’art. 3: qui si dice espressamente che le tariffe devono essere fissate sulla base del costo standard di produzione e dei costi generali, in quota percentuale rispetto ai costi standard di produzione. Il comma 2 detta poi criteri assai dettagliati per calcolare le componenti del costo standard.

Premesso che già il Consiglio di Stato ritenne applicabili al decreto ministeriale di fissazione delle tariffe allora impugnato i criteri contenuti nel D.M. del 1994, il dubbio può comunque ritenersi non proponibile nella presente fattispecie, in quanto nelle premesse del decreto qui impugnato si richiama espressamente il D.M. Sanità 14 aprile 1994, che quindi la stessa Amministrazione resistente ritiene ancora in vigore ed applicabile al caso in esame.

Peraltro la necessità (logica) di fissare le tariffe massime tenendo conto dei costi di produzione standard  e delle quote standard dei costi generali, risulta ora recepito in norma di legge chiara, quale l’art. 8 sexies comma 5 del D.Lgs. n. 502/92, introdotto dall’art. 8 comma 4 del D.Lgs 229/99.

Sinteticamente il principio si trova anche nell’art. 1 comma 170 della legge finanziaria 30 dicembre 2004 n. 311.

Ora, che l’Amministrazione non abbia seguito i suddetti criteri e non abbia quindi effettuato una analitica istruttoria sui costi di produzione, prima di determinare le tariffe massime da remunerare tramite Servizio Sanitario Nazionale, lo dimostra sia la circostanza che non è stato prodotto in giudizio nessun atto istruttorio di tal genere, sia soprattutto il fatto che il provvedimento richiama puramente e semplicemente un atto di dieci anni prima, la cui istruttoria, ammesso che potesse considerarsi allora adeguata (“in disparte” la circostanza che detto atto è stato annullato dal Giudice amministrativo proprio per difetto istruttorio), avrebbe sicuramente avuto necessità di un aggiornamento di verifica per valutare la congruità dei costi di dieci anni prima (basterebbe al riguardo richiamare il “fatto notorio” del cambiamento valutario che ha comportato un significativo aumento generalizzato dei costi).

I ricorrenti evidenziano altresì un ulteriore profilo di illegittimità, di natura procedurale, costituito dal fatto che il provvedimento impugnato non reca alcuna motivazione per superare il parere contrario della Conferenza Stato-Regioni.

E’ pur vero che l’originaria previsione contenuta nel citato art. 8 sexies comma 5 dell’obbligo di intesa del Ministro della Sanità con la Conferenza è stata poi modificata in mero parere obbligatorio dall’art. 1 comma 170 della finanziaria per il 2005, tuttavia appare evidente la necessità comunque di motivare, seppure sinteticamente, sulle ragioni che hanno condotto l’amministrazione agente a disattendere il parere di un così importante organo (col quale in precedenza era necessaria l’intesa), anche se i profili attenevano, almeno secondo quanto affermato nell’atto dall’amministrazione, alla opportunità.

Nei termini sopra indicati il D.M. salute 12 settembre 2006 deve essere annullato in parte qua.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. III quater:

accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla il D.M. Salute 12 settembre 2006 in parte qua.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione terza quater – nelle camere di consiglio del 17 ottobre e del 14 novembre 2007.

MARIO DI GIUSEPPE Presidente:

CARLO TAGLIENTI  Relatore estensore:                       -